martedì 30 aprile 2013

Clarice Lispector, Il Bufalo. Da Le passioni e i legami, Feltrinelli , 2013


" Allora , nata dal suo ventre, di nuovo riemerse, come un'implorazione, come un'onda lenta, la volontà di uccidere. I suoi occhi si inumidirono per la gratitudine e il loro colore si fece più intenso per qualcosa di simile alla felicità, non era anocra odio, ma una volontà tormentata di odio simile a un desiderio: davanti alla promessa di un epilogo crudele, quella brama di odio che si riprometteva sangue sacro e trionfo era intensa come un supplizio d'amore. La femmina respinta si era spiritualizzata in una grande speranza. Ma dove, dove trovare l'animale che le insegnasse a decifrare il proprio odio? Quel sentimento che le apparteneva di diritto ma che non riusciva a raggiungere attraverso il dolore? Dove avrebbe imparato ad odiare per non morire d'amore? E da chi?[...] Non voleva mai più perdonare, se avesse perdonato ancora una volta, la sua vita sarebbe stata perduta[...]
Clarice Lispector, Il Bufalo

Pechino


Il confine si fa leggero
il treno per Pechino è lungo
ma più lungo il viaggio
perché i sentieri
non furono calpestati
e non si sa
come li avremmo percorsi
con quale ritmo
raccogliendo quali arbusti
cucinando quali erbe riconosciute
di campagna con quale gusto
feroce e crudele mangiandole.

No, non lo possiamo sapere.

Che desiderio ci sarebbe venuto in bocca
che fame
e nella testa che ansito
di scoperte mai fatte.

Ci siamo nascosti i bagagli
tenendoli chiusi  sulla schiena
e siamo ai blocchi di partenza
della transiberiana.

Quello che di me vedi
è un pantalone liso
per troppo uso
una maglia sudata
per l’emozione.

Non la salda tenuta
dei garretti e del cuore.

Cetta Petrollo

lunedì 29 aprile 2013

Un topo a piazza Venezia



Un topo a Piazza Venezia
è entrato e uscito dal tombino.
Nello stesso momento l’aria
era profumata di gelsomino
e io andavo controcorrente
contro le magliette
sudate della gente.
Non ho altro da darti
in questa mattina pesta.
Ma se scrivo sei vivo.

Cetta Petrollo

sabato 27 aprile 2013

Da All'epoca che le fanciulle. Donna.



All’epoca che le fanciulle 25 (donna)



E la venticinquesima si mise a raccogliere sulla sabbia pezzi di abiti che le erano caduti intanto che andava, qua un paio di calze, là una sottana, in fondo uno scialletto che la sabbia lo aveva così coperto che quasi non si notava più non fosse per la frangia celeste che sporgeva, più lontano ancora il reggipetto che era proprio da fanciullina con i fiocchetti e i ricami e la maglietta a collo alto si capisce e i reggicalze che non s’usano più ma qualche volta le ragazze ci giocano e poi i sandali e poi i bracciali gli anelli e infine le mutandine e intanto che raccoglieva indossava nuovamente tutte queste cose che mentre le indossava cambiavano e non scintillavano più come quando le aveva messe la prima volta prima di togliersele intendo ma ritornavano su opache e completamente diverse vestiario di donna non più di ragazza.
E dapprima quindi per ordine inverso indossò maglietta e sottana e poi le calze e poi le scarpe e poi lo scialletto e ora come faccio si chiese che nelle mani le erano rimaste mutandine e reggipetto e reggicalze, non posso mica mettermele qua sopra che sono già tutta rivestita perciò decise di non metterle affatto e le ributtò sulla sabbia sperando che qualcuna delle ventiquattro fanciulle che continuavano a girare fra cielo e terra e sabbia e universo e che si arrampicavano lungo le stanze  le grotte e i giardini le notasse e le indossasse ancora una volta per ridare loro luce e splendore.
Lei certo no.
Che lei era tornata donna.
Che donna vuol dire domina. Reggitrice.
Che donna vuol dire governo di sé. Pienezza. Forza. Fiducia. Accudimento. Cura. Che donna vuol dire che intanto che andava misurava di nuovo la processione di piatti e pentole le pila delle lenzuola che dove mai era andata a finire tutta questa roba intanto che le fanciulline spuntavano come funghi dalle sconnessioni dell’amore e del desiderio.
Che dove mai erano andate a finire tutte le sue punteggiature e la libertà di aprire la finestra alla mattina e di dirsi qui abito io.
Io.
Donna. E intanto che andava guardava con grande tenerezza queste ragazze che avevano per un momento pensato di fermare il tempo pensato di aprire i cancelli pensato di prendere gli aerei volare sostare di nuovo ripartire.
Donna. Attenta silenziosa. Donna accorta che difende la femmina. La nasconde.
Donna forte. In dicitura di verso.
In preparazione di nascita di morte.
E nella mia isola ci andrò da sola decise.
Per ora almeno. Per un po’.
Magari la prossima settimana.
L’aliscafo parte dal molo Beverello.
Porterò il mio maglione rosso.
E questo computer. Non si sa mai che mi venga voglia di continuare a scrivere.

Cetta Petrollo

Colpo feroce di bacchetta e così sia.


Che pasticcio l’amore
che pasticcio!
Non si possono amare
i fuochi spenti
non si possono amare i rassegnati
i curvi dentro gli ingabbiati
si possono amare solo i pirati
gli orgogliosi di sé
i presuntuosi i forti i bleffatori
quelli che fanno indigestione
d’ intelletto e di cuore.
Si possono amare quelli che sbocciano
di colpo nei bottoni sciagurati
del colore nelle scie
improvvise di profumo
nei suoni del piatto della batteria
colpo feroce di bacchetta
e così sia.

Cetta Petrollo

Quelli che fanno indigestione



Che pasticcio l’amore
che pasticcio!
Non si possono amare
i fuochi spenti
non si possono amare i rassegnati
i curvi dentro gli ingabbiati
si possono amare solo i pirati
gli orgogliosi di sé
i presuntuosi i forti i bleffatori
quelli che fanno indigestione
d’ intelletto e di cuore.
Si possono amare quelli che sbocciano
di colpo nei bottoni sciagurati
del colore  nelle scie
improvvise di profumo
nei suoni del piatto della batteria
colpo feroce di bacchetta
e così sia.

Cetta Petrollo

Famiglia che mi porto dentro.



Famiglia che mi porto dentro.
Famiglia di corse di rincorse
di pause di scritture di sguardi
di ascolti tutto intorno a me
tutto dentro  famiglia
che mi porto dentro
come quotidiani tenuti in ordine
la mattina e passaggi al bar
e luminoso sole di luglio
come ribadire che porto avanti
poesia la tua la mia la nostra
porto avanti poesia
e biblioteche di sogni
e sento il tuo abbraccio ancora
che sostiene questi   smottamenti
che dissero ancora poesia
ti sento ancora ti risento
che fai argine sui percorsi
fai diga conduci l’acqua allarghi le anse
del cuore che ancora mi resta
da vivere ma in famiglia in sostegno
di verso di voce
di allargamento di scommessa.
Famiglia forte di senso
che mi porto dentro.

 Cetta Petrollo

A mia figlia Lia. Prima di cominciare la giornata.



A mia figlia Lia
Prima di cominciare la giornata

Siamo stati  felici?
Direi di sì. Sento tutto questo pieno dentro
che non ha bisogno d’altro
come passare per il salotto
e vedere quella foto
come andare per giostre dentro al cuore
come andare ancora
per ciambelle  cerchietti
per cuori di palma sotto vetro
per palloncini certo e spallate
e Monte di pietà.
Siamo stati felici?
Direi di sì.
Come infischiarsene del futuro
e agire nel presente scommettendo
e riempirsi gli occhi di scatole magiche
prefigurate sui battelli
e gli aliscafi e nei mille
ristoranti che scegliemmo
( urlate se il cibo tardava)
Siamo stati felici?
Disordine affastellato
ma ordinata l’anima
che balza e balza
e balza ancora
tutta questa felicità borbotta dentro
come brace sottile mai spenta
tutta questa felicità
punta l’indice come in una pala
di resurrezione verso l’altro
con gli amorini che ancora scendono
su questa terra.

Cetta Petrollo

giovedì 25 aprile 2013

Se la mangiano gli uccelli



Se quel maggio non si fosse aperto
se quel verso non avesse cantato
se quel bosco fosse stato meno fatato
se non avessi portato quel cappello
se non avessi scommesso sull’ottobre
se le bocche non si fossero urtate.

Ogni se che lascio cadere
descrive la mia vita fra parentesi
la circuisce la rende
friabile assurda e continuando

se non avessi salito quella scala
se non avessi accettato quell’invito
se non mi fossi seduta
se non mi fossi alzata
se avessi avuto più coraggio  meno coraggio
ogni se che cade
è un orecchino che non ritrovi
e ogni se  è come la briciola di Pollicino.

Se la mangiano gli uccelli.

Ma se ogni se è stato trascurato
tralasciato e la più bella strada
è proprio quella che si prende
devo ancora pensare che
ancora  ci saranno altri se
con tutti questi se
ancora un possibile urto
scelta disagio
più coraggio meno coraggio.

Ansito progressione del cuore.

Cetta Petrollo

Il cervello chiude i suoi ictus frammentari



Tu fosti poesia.
Se tutto si disfa come ghiaccio al sole
tu fosti poesia e scivola un’acqua sporca
si mischia con la terra
scivola nelle stagioni negate
scivola nei letti accucciati
se tutto si disfa come ghiaccio al sole
il cervello chiude i suoi ictus frammentari
di cui nessuno si accorge
si osservano solo rovesciando
le palpebre sotto al bianco
si osservano emorragie nascoste
tutte queste vite che furono nostre
oramai si allontanano
è come lasciare la strada lastricata
della perfetta circolazione
avventurarsi dove si moltiplicano
i sassi i blocchi l’odio le cesure
ma sbagliai dicendo odio
come nominare odio  vicino a morte
conteggiando i suoi lasciti
che appaiono sui bordi del percorso
come ortica pungente?
Tu fosti poesia
ora queste erbe sono pronte
per  l’ incendio
arrivano altri segnali
che fanno abbandonare
i carichi del cuore ad uno ad uno
affinché spogli ancora di tutto
si possa nuovamente
vagire in pianto.

Cetta

mercoledì 24 aprile 2013

All'epoca che le fanciulle 10 ( scema)


All’epoca che le fanciulle 10 (scema)



Ora la decima chiuse la luce, chiuse la finestra, chiuse la porta, chiuse tutto quanto e lasciò accesa come sempre la sola lucetta del computer quella lucetta blu dello schermo che riesce ad illuminare la tastiera e se inclini lo schermo riesci a vedere lo stesso anche se hai tutto spento vedi lo stesso che è quello che era lungamente capitato da maggio in poi quando le fanciulle non erano ancora nate che nessuno era venuto a farle nascere e la notte c’erano coppette di ciliegie e molte insonnie e colpi di corda saltata lungo il viale.
Il salto della corda.
Pensa tu che certe volte anche un libro ti può rendere scema.

Aspetto che te lo spiego disse donna alla scema che era arrivata come faceva lei dimenticandosi un mucchio di cose, dimenticandosele nella camicetta aperta nelle mutandine smarrite nei capelli sgovernati nelle scarpe con i tacchi, nella matita sulla bocca, nella collanina di pietruzze andine, che come si fa a girare sempre coi tacchi? Nei seni inopportuni nel pube un po’ gonfio nella bocca che stava sempre là sempre pronta a baciare da scema.
Che come si fa! Come  si fa! A baciare sempre il primo che passa che magari incontri alla stazione che non lo hai mai visto prima!
Solo in fotografia.
Ma ti pare… non è una cosa da fanciulla saggia è una cosa da stupida, da scema, lo vuoi, lo vuoi finalmente capire che sei scema?
Nella realtà, devi stare nella realtà, disse donna alla decima che era come vi ho detto un po’ scema o almeno tale la chiamava la donna che era un po’ acida e insomma non tanto comprendeva le fanciulle specie quelle di sessant’anni.

Ma come si fa. Come si fa… dimmi come si fa a partire così filata verso il cielo che tu che ne sai?
Sei babasona, una merla, insomma sei proprio una scema.

Ma decima aveva spento la luce e stava lì postando sul computer e si diceva mica sono scema, donna sta facendo un sacco di confusione, a me piace sognare e immaginare e cercare e chissenefrega se ai sogni non risponde la realtà, peggio per la realtà, che la mia è quella che è, e peggio per la realtà se non sa sognare, io è una vita che sogno che ci ho sempre avuto un gran mago, un grandissimo mago vicino che mi diceva tu ti gasi da te e basta che qualcuno ti sorrida che tu parti ma non è grave diceva appunto questo grandissimo mago, tu sei fatta così… E con me non cadi ripeteva il mago, con me non si cade…
E scema ricordandosi del mago, quel mago che adesso dormiva e dormendo respirava e respirando riempiva la casa e ancora con luminosi occhi la guardava, ricordandosi del gran mago continuava a postare sul computer sulla sua scrivania al centro della plancia della nave che era la scrivania del poeta che erano le infinite volte che si erano seduti a quella scrivania che erano gli infiniti silenzi le infinite paturnie, gli infiniti sbattere di carte.
Che anche si campa giocando a poker.
Basta avere la forza di rischiare.
Di bleffare.
Aspetta ti insegno come si fa.
Che lei non aveva purtroppo mai imparato ma lui glielo diceva, devi imparare a bleffare e non fare la scema…
Che io sono un re e tu una regina.
E dico, non te lo dimenticare mai mai.
Ma non parlarmi mai prima dell’una.
E scema si disse continuando a postare sul computer e a scrivere la sua di storia, postando come una matta si disse, ha ragione, ha ragione lui, mai prima dell’una dovrà parlarmi un uomo.
Anzi nemmeno dopo l’una.
Anzi ci devo pensare ben bene se lo voglio ascoltare un uomo.
Che sono una regina.
E perché lo devo mai ascoltare? Che io ho ascoltato un re?
Che mi importa di un uomo se ho avuto un re?
Che mi basta la mia di storia.
Che so quello che scrivo.
Che mi basto da me.
E così scema non più scema stava lì a scrivere storie e ad ogni storia che scriveva il mondo si faceva sempre più bello e più grande e meno meschino e i sudditi si allontanavano e il mondo si faceva accogliente e morbido e allegro e pieno di umori e di nuovo pieno di sapori che sono carina si disse scema e poi sono una regina e che lo devo leggere a fare il mondo? Che non ho bisogno io di leggerlo il mondo che il mondo lo vivo e il re lo ha già letto per me e lui ora mi dice scrivi scrivi scrivi non fare la scema scrivi.
Fallo per me.
Riempi questa casa di parole.
Guarda per me la vita
Impara a giocare a poker.
Impara finalmente e scrivi.
Che la notte si allungava e si allungava e c’erano ancora tante cose ancora da scrivere che non sarebbe  bastata una vita e per questo che lei aveva fretta e pistava pistava sul computer e ogni tanto faceva sciò sciò, sciò sciò, non ho tempo da perdere anche se sono scema.
Cetta Petrollo, Febbraio 2012

POESIA 13 CANTIERE APERTO DI RICERCA LETTERARIA 17, 18 e 19 maggio Rieti

POESIA13 CANTIERE APERTO DI RICERCA LETTERARIA

lunedì 22 aprile 2013

Notte. Vado leggera verso la notte.


Notte. Vado leggera verso la notte.
Guarita da me stessa
vado leggera verso i miei passi
che sono leggeri sulle punte.
E non ti so dire perché essi
siano così leggeri
dov’è che mi avanzino i suoni
che mi accompagnano in danza
davvero non ti so dire
perché vado nuovamente
cercando questa notte
con tutta la leggerezza del sangue
con tutto il suo tepore
di primavera e di fave e di vino
ai quattro canti delle città
sopra il loro mare e sui colli.
Notte. Vado leggera verso la notte.
Sento il suo respiro.
Proviene da qualche angolo
del presente.
E sono libera da schiavitù
d’amore. Notte.
Vado leggera verso la notte.

Cetta Petrollo
 

venerdì 12 aprile 2013

Da Viaggi romani .3




Roma

Ce la siamo girata tutta quando andavamo veloci per piazza Montecitorio e veloci nelle stradine che portano alla Camera, ingressi secondari, e per via del Corso in fretta verso il palazzone dei socialisti e fino alle tre di notte per la chiusura dei contratti e ancora spaziando sul lungotevere verso le boutique anni Novanta per comperare sciarpe di lamé per Capodanno e ancora di corsa verso il Pantheon dove qualche politico in cerca di voti, qualche regista in cerca di whisky e ancora più giù attraverso passaggi che tagliano i posti importanti verso Piazza Venezia e ancora più giù verso i fori imperiali dove quella parata.
Ah sì che siamo andati in galoppo! E se ti guardo di profilo rimane quell’orgoglio di chi correndo piega le cose. Con quelle mani forti. E’ nostra la città? E’ nostra. Distesa, rilassata. Non tradisce. Non incrudelisce. Mi fa regali.  La gonna a pieghe finalmente si solleva.  Torno ad essere femmina. Fammi vedere le scarpe. Hai visto palazzo Farnese? E mettiti di fronte. Chissà.

Cetta Petrollo

martedì 9 aprile 2013

Armonica.



Armonica.

La primavera gonfia le attese
in risposta di nido affollato
(e nido dentro e nido fuori)
e nido di giunchetti leggeri incretati
mammelle di rondini sotto il tetto
e le vespe già si preparano
nei pressi della fontana
ronzeranno feroci.
Vicino a quell’ armonica
bisognerebbe andare con una gonna
a pieghe di seta leggera
che ondeggia e ondeggia
giacché non ho fianchi
né cellulite e le caviglie
saranno spensierate reggono
tutta questa corsa come avessi
ancora un’altra vita da vivere.
La supererò in fretta
arriverò al porto
con tutte le sacche di calore
che dispensano cibo e chiasso
la supererò in fretta
si vedranno prima del mare
le mie pieghe che ondeggiano
antiporto di niente
si sollevano si riabbassano
come lo strazio
che si allontana.

Cetta Petrollo

Transiberiana.



Transiberiana.


Bisogna bisogna aspettare
che la realtà si formi
e poi si disfi e si riformi
che si aprano giornate di sole
spalancate su letti condivisi
di fronte a muri di calcina
mari di spesso sale
bisogna bisogna aspettare
che quella transiberiana
mi porti dove mai sono stata
oppure sì
in fondo ad abbracci scossi dal cuore
e saliranno di nuovo truppe di parole
assiepate affamate
fanteria da sbarco
a passo lesto
e scorreranno durezze
paesi ignoti incombenti nere colline
da affrontare.
E ora. In questa stazione
stazione di periferia senza display
chiuso il passaggio a livello
lo scampanellio che tarda.

Cetta Petrollo

domenica 7 aprile 2013

Nome



Anche se sei così
il tuo nome  è grande
non puoi distruggerlo
neanche se d’impegno
ti sei messo
a distruggere l' amore.
Ma il tuo nome è grande
fatto di quattro lettere
quattro scintille che incendiano
anche le stelle.
Sì lo dico come quella
sciocca ragazza
che si dondola sotto al portico.
Si uniscono le scintille
del tuo nome.
Si fanno una
nel sole.

Cetta Petrollo, 2012

a Viaggi romani. 2.



Ars medica
Ci arrivo senza pensarci troppo guidando per strade lisce e senza traffico che attraversano la Camilluccia e Vigna Stelluti, le zone dei ricchi anni Sessanta. Il parcheggio è semplice. La facciata accogliente e azzurra, non sembra una clinica, sembra un albergo elegante circondato dagli alberi.
Va tutto bene fin quando non percorro il corridoio. Non ho carrozzine da spingere. Non devo cercare il posto giusto dove fermarmi. Non devo porgere bottigliette d’acqua né cercare dov’è il bagno più vicino. Non devo tenere sotto controllo la rumena che non si deprima troppo, non si annoi, stia bene anche lei. Nessuno mi corrisponde con lo sguardo. Nessuno mi si affida. Io non mi affido a nessuno. Sicché il corridoio diventa lunghissimo e vuoto e torna a far male il centro dell’ombelico e non sono le sette della mattina e non c’è il silenzio della casa.
“Che grande persona che era” dice il dottore mentre mi visita e lo so che non ho niente, niente di grave almeno, che sono tornata qui come in pellegrinaggio e non me lo potevo dire.
E sì che se n’è presi di urlacci questo signore. Ma erano ininfluenti.  I medici sanno vedere.

Cetta Petrollo

Da Viaggi romani. 1


Sabato sera
Ha gli occhi sempre più verdi stretti nel riso e nella voce roca. E’ stata vicino ad uomini importanti, ne ha guidato le scelte, indirizzato il futuro. Arriva di colpo al centro dei problemi con una risata. Passo con lei il sabato sera in una vineria frequentata da ragazzi e comitive. Sono forti le donne? Se la guardo mi confermo che sì, sono forti. Continuano a portare covoni sulla schiena, ceste sul capo, guidano calessi e sorvegliano bambini. Senza perdere quell’ attrattiva che parte dalla mente e trascina per tutto il corpo. Fra di noi non c’è bisogno di troppe parole, scioriniamo i bucati, indossiamo camicie rosse. Al Paglia sarebbe piaciuta. Una che parte da zero e arriva in cima. Che finisce e ricomincia sempre. Una sotto San Pietro e all’ombra del Colosseo. Laura.

Cetta Petrollo 

venerdì 5 aprile 2013

BELLA ESAGERATA VIOLENTA NEL CORPO




Non scrivo versi dalle parole colte
quelle che trovi sfogliando i libri di poesia
che ricordi a memoria
ho dentro una lingua mia
che si è formata giorno per giorno
fra urla e silenzi e sbattere di piatti
e rigovernature.
Una lingua che si è formata
nel su e giù del lavoro
e nel su e giù dell’anima
nella presenza nel letto alla mattina
quando ci si stringe piede contro piede
di schiena sapete com’è
(quelli che sanno com’è).
Non sono quindi una laureata
della poesia
e come avrei potuto?
So che essa è  selvaggia,
 mai noiosa immaginifica sempre
e deve adoperare tutto
come nel sesso e in cucina
o quando si leggono i giornali
o si guardano i mezzogiorni
dedicandoli all’altro senza sentimento
in passione.
E chi lo sa cosa scrivo
quando scrivo –descrivo
queste strade che passano lente
fuori dal finestrino
questi treni su cui salgo e poi scendo
adesso che sono ferma in una stazione
senza dire  qual è
cullandomi   la graffiatura
le spalle bisognose di un abbraccio
irresistibile.
Non  darò  indicazioni di presenza
mentre sono presente
come la straniera senza passaporto
bella esagerata violenta nel corpo.
Che nessuno  conosce.

Cetta Petrollo

giovedì 4 aprile 2013

Ha muscoli duri tenaci






Che per sedurre vado
in camminamento.
Studio la gabbia del ferro.
Studio la botola.
Studio il pugnale.
Il cuoio la cinghia.
Francesca è di profilo.
Rigida rossa.
Senza amore
senza libro.
Ha muscoli duri tenaci.
Reggono
la tortura delle presenze.
A picco a strapiombo
sopra di sé.
Ma come è di profilo
questa Francesca.
La veste aggiustata
il libro aperto
senza libro.
Ma come non vola
più non vola
questa Francesca.
La gabbia al fianco
la botola
il giudice crudele.
Dall'alto le sentenze.
Studia il pugnale
la cinghia
balza sul camminamento
solleva le vesti.
Ma quanto esiste
non esiste
sopra di sé
si sperde
senza bacio
si sperde
da rigido profilo ingabbiata
Francesca.

Cetta Petrollo

Bussola



Scrivo un diario che ha un lettore - interlocutore nascosto. Questo lettore, interlocutore non mi parla seppure una volta parlò . E' come una fiamma che si consuma a poco a poco ma si sa che c'è. E' una fiamma lontana ma il suo ricordo è più forte di qualsiasi incendio. L'idea della fiamma mi spinge a scrivere. Guardo perché c'è la fiamma. Guardo come farebbe la fiamma. Misuro le parole come la fiamma vorrebbe fossero misurate.  Cammino e percorro le strade e i momenti come l'interlocutore vorrebbe percorrrerli. Li percorro con lui in fitto dialogo interno. Ogni tanto può essere che come un pirata io faccia rapide incursioni corsare nella vita vera. Per controllare che la sorgente non si sia esaurita. Che la pelle foderi ancora quel corpo, quel ritmo, quel respiro. Quegli intoppi del vivere. Quelle lente e mattutine o serali o notturne disperazioni. La mia attenzione si sofferma su un'asola sbottonata che poi si rigira nel mio pensiero, nel mio ricordo, per giorni e giorni. Su quella lieve discesa di pelle solo da me avvertita. Su quella maglia non più tirata a lucido, non più perfetta. Su quella distrazione nel taglio dei capelli. Le rapide incursioni sono sprofondamenti del cuore. L'esistenza dell'interlocutore nascosto dà la spinta di reni al mio vivere.Appunto per me e su di me e per lui e su di lui la crema delle frasi, dei versi, la panna montata del vivere. Lo so che il dialogo si fermerà quando il corpo balzerà di nuovo su fianchi lisci.  Ma ogni incontro futuro, ogni piacere, avrà senso solo se raccontato ogni giorno a chi non c'è. A chi non risponde. E pulsiamo e respiriamo in accordo, disaccordo, sottaciuto. Bussola tenace che segna nord. Dialogo ostinato. Scommessa.  

Cetta Petrollo

Da Viaggi genovesi




Carrugi

Ci sono anni che sono come grandi incroci.
In questi incroci non si sa chi diriga il traffico né perché ci si ritrovi lì nello stesso momento.
Uno va. Uno viene.
Quello che va lascia un’emozione. Quello che viene suscita un ricordo.
Così si scende verso il traffico dei carrugi. Come si può.
Arrotolando i pantaloni sopra le caviglie. Stringendosi un po’ di rosso.
Vicino alle botteghe della frutta. In figurina a scomparsa.
Banane. Di venerdì sera.
Si corre agili come ragazze osservando le finestre sospese in discesa veloce verso piazza Caricamento.
Ti ho dato la smarrita.
Ma, Elio, come sono attenti gli occhi dei bambini.

 Cetta Petrollo

Da Viaggi genovesi




Falso Demetrio

Il venerdì sera andiamo in libreria. Ci si va in discesa lungo via Balbi, rapidi, e poi via Garibaldi e via via ,ancora in discesa, fino a piazza De Ferrari per precipitare giù a Palazzo ducale e nella discesina con i mattoncini rossi e poi i carruggi e via di San Bernardo e la piazzetta.
La discesa è silenziosa  com’è sempre fra le sette e le nove, ora di famiglie chiuse a cena, anche qui, dove le finestre sono finte e colorate e le persiane sempre tinte di giallo o di verde.
E’ un attimo, sospinta da questa famiglia lieve che mi ha adottata, sono in libreria.
La libreria dei poeti, piccola, legnosa e morbida, con i libri appoggiati sulle mensole e i ragazzi ingombranti di occhi e di zaini.
Beviamo.
Osservo gli sguardi della giovinezza così rapaci.
Il ritorno in gruppo è ancora più veloce.
Intorno salgono tutti i rumori della notte.
La ferma intensità dell’aria.
Sarebbe così bello se non lo potessi raccontare?
No, non sarebbe così.
Racconto subito col telefonino.
E so che il mio sguardo è condiviso.
Racconto per chi mi ascolta.
E riconosce il mio sentire.
La sua città.

Cetta Petrollo

Da Viaggi genovesi



Bistrot

A Genova ci sono i bistrot. Che magari esistono anche altrove. A Genova li frequento perché lo iodio adesso mi toglie l’appetito come me lo aggiungeva da ragazza e arrivo alla sera con poca fame ma molta voglia di bere.
Meglio frequentarli in compagnia. E’ triste bere da sole.
Meglio andare in quelli dove ti porta un amico. Entrare con lui che sa dove dirigersi. Che conosce l’oste. Che osserva le ragazze che servono.
Pantaloni bassi. Civetteria da bambine.
Ma i bistrot e i carrugi si somigliano tutti.
Dunque in questa sera strana, pervasa dalla nostalgia e dal ricordo, capita di girovagare a lungo cercando quel particolare bistrot dove si andò con l'amore, all’epoca che eravamo fanciulle.
E di girovagare a lungo e a lungo mentre altra compagnia ti segue osservando gli spigoli, gli angoli, gli incagli di questa città insieme docile e difficile.
E di carrugio in carruggio si gira alla ricerca del bistrot.
Del mio bistrot. Di quello che appunto ero una fanciulla.
Ma questo non si può dire.
E nel giro finale fra marocchini emigrati, senegalesi, famiglie in uscita serale, ad una svoltata incontriamo San Lorenzo. Con le guglie ed i mostri. Sempre quelli di quando scrivevamo poesie dicembrine.
E incappiamo in un bistrot.
Il daquiri è più buono.
La compagnia lieve e attenta.
Ma non è il mio bistrot. Ombroso. Reticente. Affettuoso. Avvolgente. Ispido e scontroso.
Il mio bistrot.


Cetta Petrollo

martedì 2 aprile 2013

Le paratie del cuore


Un giorno questo ricamo
scoprirà le sue ragioni
le sue forti ragioni di canapa
quelle che non vedevamo
perché c’era burrasca
il mare era color crema
e alzava una spuma indiscreta
indiscretamente sbatteva
contro le paratie del cuore
indiscretamente corteggiava la morte
delle conchiglie dei tronchi
dei vetri anneriti delle pozze
e sbattevano e sbattevano ancora
le sciarpe ed i sogni
sbattevano contro le paratie
contro le difese erette
a dire no.
No!
Un giorno questo no
sarà nella trama
sarà incistato dove il filo si gira
è appena un po’ appannato.
Ci verrà un amore grande
perché le paratie avranno retto
e la trama si sarà svelata
quella che non vedevamo
mentre il mare sbatteva e sbatteva
e noi dicevamo
no!
Lo scoglio non si sarà stancato
Il mare non avrà finito
tutto sarà dentro alla trama
l’amore scivolerà fuori da essa
e poi vi tornerà
così come capita al mare
 quando  oscilla in delicato disegno.
Tutti i nostri no resteranno mansueti.
Ma quanto
pietosamente mansueti.

Cetta Petrollo

lunedì 1 aprile 2013

Dai Sonetti


Se quando mai io muoia mio signore
non buttate i miei versi ed i miei doni
ma fate una scultura che ricordi
al mondo chi io ho amato e chi io fui.

Salvate ciò che dissi in amor vostro
accartocciate e mail furia e tormento
salvate la creatura che scrivemmo
in duetto d’amore d’ora in ora.

Ma se mai voi moriste dio non voglia
dirò nei cieli chi davvero foste
salverò il corpo vostro chiuso in versi

vostri libri curando come i miei
e ancora scriverò chi ho amato tanto
voi mantenendo in vita . Elio. E poi Elio.

Cetta Petrollo

Da Mareggiata



Le cose stanno immobili
dove hanno scelto di stare
(facile immaginarti immobile
per esempio fra pile di libri
e mi rallegro dell’unico movimento
che fu per sgombrare un armadio).

Dunque le cose stanno immobili
nell’infuocato cielo del ferragosto
che non posso variare
nemmeno prendendo il treno che vorrei
una focaccia al formaggio
e  un improbabile amico.


Ma le cose stanno immobili
mentre getto parole
in costruzione di versi.

E certo solo di quelli.

Perché potremmo ripartire, vedi,
dall’ ostinato hula hoop della vita
col cerchio che gira intorno ai fianchi
sotto a quell’Eataly dove non salimmo
per provare quel pesto.

In cima a Castelletto.

Perché potremmo ripartire
dall’hula hoop della vita
fra quaderni di scuola e carte false
vittorie taroccate
il cui miglior premio sarebbe
per resistenza infinita
la  necessaria pietà di noi.

Cetta Petrollo

Da Mareggiata



Vengo da case nobili
mio padre puliva le stalle dei cavalli a Capannelle
faceva la barba ai turisti a via Condotti
mia madre teneva la casa dentro a un pugno
e di nascosto mangiava la minestra dei poveri.
Vengo da case nobili
mio marito era disinvolto nel vivere
pagava da solo i suoi conti
sbattendo l’angoscia sopra a un tavolo.
Io mi attendo niente meno di questo
i cavallini di San Fratello sono tutti a frinire
e Garibaldi è passato
con le sue truppe d’assalto
l’odore della liscivia mi agguanta la mattina
quando quello dell’aglio ripete il suo ritornello
sulla mia nobile  gastrite al risveglio.



Cetta Petrollo

Da Mareggiata



Posso darti allegria di risulta
quella che avanza a vita inoltrata
come la rimanenza dell’olio in fondo
alla boccia. Il suo fermento.
O come quel lievito che rende acidulo il pane.
Perché non sono giovane né bella
sono una vecchia adunca che lancia
i suoi ami di scienza.
La pelle sempre più smorta.

Ma guarda che casa di marzapane.

Ma guarda che pane. 


Cetta Petrollo

Da Mareggiata



E’ estate quando si muove questo serpente
che sente il dolore e lo annusa
sul punto di mangiarlo
il serpente vorrebbe mangiare il dolore
buttarlo fuori a poco a poco nel sonno
finché venga l’autunno
a riconciliarci con noi
sotto gli affreschi dei caffè
sotto gli spruzzi degli scogli
sotto alle camminate sotto alle candele
ancora una volta accese e accese e accese
in vicendevole pietà di noi.
Ma sì che ti massacrerò l’anima
e tu massacrami la mia che non è
cattiveria quella che spinge al rimorso crudele
no, è vita che il serpente conosce
acciambellato nel presente e solo in quello
(magari con la nostra pelle ancora stretta
insieme a sfregarsi di baci mattonati
ma ad occhi aperti verso
la partenza dei porti
verso quelle quartine blindate che smuovono
la pancia alla mattina  presto
quando  si rimane legati nel letto
e non c’è verso che il gallo canti
mentre “ giorno si ostina”)

Cetta Petrollo