venerdì 25 febbraio 2011

Da Le Convenienti giornate, poesie per Elio, Persino Sara, disinvolta poeta


Ma siamo risalite dal capodanno

abbiamo riacchiappato i fili

rammendato

infine ricostruito il tappeto

mi sembra più forte

i fili che abbiamo messo infatti

sono ancora più forti

il tappeto ha di nuovo robusti nodi

e dal cielo sono arrivate avvisaglie di amici e fotografie

e questa calma

continua

preghiera che c’è stata.

Sarà il ginkgo ma trovo la forza.

La comunicazione

è tranquilla

fra un cappelletto e un altro.

Persino Sara disinvolta poeta.

Ma tu disinvoltissima aggiungi.

E di nuovo mi trovo a remare

e non mi importa se siamo in due

se la barchetta ha

ancora una volta

lasciato moli e approdi.

Lo sapevamo eh sì che lo sapevamo

(lo sapevamo eh sì che lo sapevamo)

Ma sono forte

(tu di più)

sulle gambe.

“Sempre obliasti, Aiace Telamonio.”

Le braccia qualche volta non lo sanno.

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Tanto per dire

Posso fare tovaglie di parole

persino un pranzo di virgole e merletti

e se c’è un imbuto ci casco dentro

con tutto il mio verde

tu mi capiresti tu che sacramentavi

se appena si avvertiva la piatta noia senza gioia

e ti salvavi a inizio anno

sbattendo carte in sequenza sopra alla scrivania

( non posso far niente se non viene)

io non posso far niente e tu sei mansueto

io sono mansueta e tu non puoi far niente

la Lezione è fuori formato siamo fuori formato

si traducono le nostre essenze in capricci e vecchiaie

(si accontentano sempre)

( per questo girerò l’angolo una domenica mattina)

Solo una ragazzetta col cappellino

si ricorda che è capodanno e mi telefona scusandosi

prima di andare a ballare

e mi porta cesti di poesie

aggraziata come una parentesi non chiusa

si porta dentro tutto l’inutile della inutile vita

la sopporta la espia.

Qui si tengono solo contabilità

da quattro soldi su un libro mastro

con regolarità da ragioniere

programmi come fossimo immortali

(“Immortali per le strade non ce n’è”)

sopportazioni e stracci per la polvere

scope ecologiche ricette di cucina

Ah!Mi voglio svegliare con una bella scorreggia

una delle tue tanto per dire.

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The straight story

Ti chiedi perché sei come in un quadro di Hopper

fra una domenica e l’altra

davanti a una candela rossa raggrumata

come in un quadro

qualcuno mi potrebbe vedere

come mi vede

l’aureola anni sessanta

sullo sgabello col bicchiere di vino

perché qui si viaggia

appena a due metri da casa

e si viaggia e si viaggia

(ci si nutre della giovinezza

quella che non ti tocca

ma solo di struscio ti accarezza

e montagne di dolcetti di sfizietti

come fatti dalla mamma)

anche parlare sarebbe faticoso

un raspare contro alle pareti

ma guardare no

guardare un po’

mentre la musica ti accompagna

ti reggi sul freddo del calice

fai esercizio

anche un poeta l’ha detto:

“ci vuole temperanza e abitudine”.

The straight story.

Perciò dialoghi con me

e mi sovvieni e /o a riporto sostieni

e bisogna essere guardinghi

che non si aprano le dighe

quelle che non ti risultavano

il lagnio della poesia domenicale

a pancia piena.

mercoledì 16 febbraio 2011

La performance fra pecore e rampanti

Ci siamo, ecco, tutti in pista, pronti al colpo di pistola per l’avvio della gara al miglior performer, ce l’hanno detto e ribadito per legge, un venticinque per cento dovrà essere assolutamente perdente perché di risorse per tutti non ve ne sono, un altro venticinque per cento si aggiudicherà il terzo posto, o il secondo, solo la metà raggiungerà il traguardo.

Meta che comunque si annuncia irraggiungibile e, in ogni caso, appare disegnata in modo ridicolo: mentre ci sono amministrazioni pubbliche travolte da debiti e pignoramenti per debiti mai pagati, e per questo non sono giudicate né valutate, come se fosse normale per lo Stato contrarre debiti, ve ne sono altre che devono dimostrare di raschiare il barile spendendo in sei mesi tutto quello che si è accumulato in almeno tre esercizi precedenti e gestire in fretta il corrente anche se fino a metà dell’anno non si conoscono con certezza imputazioni ed entità delle risorse assegnate.

Gli strumenti suggeriti sono spicci e connotati da semplicismo efficientista: la squadra va diretta con durezza, senza perdere troppo tempo sui concetti e i comportamenti con cui è stata educata,con dispendio di fondi pubblici, tutta una generazione di manager, corrette relazioni sindacali, motivazioni sul lavoro, senso di appartenenza, visione della missione e degli obiettivi.

Tutto ciò, raccontato in corsi, consulenze, incontri e seminari di studio durati almeno un trentennio, viene triturato come paccottiglia e materiale da risulta e dunque si deve gestire lo strumento del no: non assentarsi, non ammalarsi, non chiedere, non partecipare, non fermarsi a riflettere, in una parola: eseguire.

Le RSU del posto di lavoro divenute, per i valutatori della performance, invisibili: per la legge non è più obbligatorio né necessario né opportuno confrontarsi con le Rappresentanze di posto di lavoro, che tuttavia sono lì negli uffici, sopravvissute a loro stesse e alla cultura che le ha istituite.

E poi: eseguire per realizzare cosa? Miglioramenti nell’offerta, così usa dire oggi, di giustizia, di istruzione, di ricerca, di impresa, di formazione, di cultura, tutto ciò pensato per una società che si continua a voler presentare come ricca nell’immaginario collettivo ma che ricca non è più e che si trova a marciare controcorrente in una pesante recessione economica di cui nessuno vuole parlare.

I manager pubblici saranno così performativi del nulla, inventeranno grafici e proiezioni sull’inesistente, basta fare un giro negli uffici di giustizia di taluni capoluoghi per vedere come le stanze non siano nemmeno dotate di computer e gli impiegati, i superstiti dai pensionamenti, non possano interrogare le banche dati e tutto continui a svolgersi su carta, penna e modulistica.

Intere e importanti fette di lavoro lasciate a personale “qualificato” che deve industriarsi come può e sa non partendo da una solida preparazione ma semplicemente dal faticoso fai da te formativo. Cooperative, associazioni, imprese a partecipazione statale che invadono consistenti settori dell’amministrazione pubblica e che si mimetizzano nelle pieghe dell’azione amministrativa, enti che pochi conoscono, che nessuno giudica, pur producendo lavoro pubblico, e le cui modalità organizzative e di selezione delle risorse e di reperimento delle stesse sono sconosciute ai più.

Precariato sottaciuto, mobbizzato, sfruttato. Non rappresentato.

Così in attesa del gong, i concorrenti, nel silenzio, il più totale silenzio delle più importanti organizzazioni sindacali, si dividono in pecore e rampanti, i primi che pur di non sbagliarsi e parlare si autolimitano il pensiero, i secondi che vanno per le spicce senza porsi problemi.

Purché i conti, soprattutto i loro, tornino.