sabato 9 febbraio 2013

Fabrizio Mugnaini e Goliarda Sapienza


  • Buongiorno, buon sabato soleggiato ma freddo. Finalmente mi rimetto a scrivere qualche breve profilo, tutto questo trambusto mi ha demotivato e non trovavo più le energie per scrivere, solo appunti e tanti libri letti. Questa breve descrizione fa parte, come diceva Vanni Scheiwiller, di quegli incontri importanti che vanno raccontati e descritti perché mai avvenuti. Sì, è vero, non ho mai incontrato Goliarda Sapienza (1924 – 1996), ma quanto l’ho desiderato, quanto avrei voluto varcare quella porta sempre aperta. Non l’ho fatto, eppure gli anni erano quelli in cui giravo l’Italia per conoscere pittori e scrittori. Di Goliarda mi aveva colpito il primo libro che avevo letto “Lettera aperta”, successivamente ne ho letti altri come “L’universo di Rebibbia” e “Destino coatto” due libri che parlano della sua detenzione nel carcere. La sua scrittura è limpida, vera ti arriva al cuore. Ho invidiato la sua libertà. Che significa essere liberi? Credo che significhi vivere i propri sentimenti, descrivendoli per come sono senza tanti fronzoli, aggiustarli, modificarli e farli sembrare altro, ma impegnarsi in questo può risultare un disagio, un vero e proprio castigo che ti può annientare, demolire, avvelenare il sangue e viaggiare nel mondo dell’indifferenza di chi non è preparato a prestare attenzione al grido di libertà. Un prezzo da pagare, quel prezzo che solo i grandi riescono a sborsare senza bruciarsi. Goliarda ha avuto la forza di resistere, di rimanere libera, pura nel suo modo di essere, ha osato scrivere quello che vedeva, che sentiva e per questo è stata respinta, osteggiata, isolata, rifiutata da una critica ammuffita, paludata, arrogante che ha avuto paura della sua penna troppo libera ed imprevedibile per essere tenuta a bada. Goliarda ha vissuto la sua vita senza preoccuparsi del giudizio degli altri, senza paura degli scandali, non è rimasta invischiate nelle ragnatele tese da un mondo ancora troppo dominato dagli uomini e da regole assurde e opprimenti; è fuggita come una lepre dalla tagliola. Mi auguro che il silenzio che l’ha avvolta in vita possa sparire nel momento in cui ci impegniamo a rileggerla con attenzione e darle il giusto peso che merita e conviene a una donna che ha lottato e preteso il suo, ricompensandola di quel dolore silenzioso che l’ha accompagnata per difendersi dalle lacerazioni del genere umano. Brava Goliarda, tieni ancora la porta aperta, entreremo in tanti per farti compagnia e per leggere insieme quello che hai ancora nascosto nella cassapanca, inedito, mai pubblicato.
    “Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… e poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.
    Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel “mio” contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima.”
    (Goliarda Sapienza, L’arte della gioia)

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