Ci siamo, ecco, tutti in pista, pronti al colpo di pistola per l’avvio della gara al miglior performer, ce l’hanno detto e ribadito per legge, un venticinque per cento dovrà essere assolutamente perdente perché di risorse per tutti non ve ne sono, un altro venticinque per cento si aggiudicherà il terzo posto, o il secondo, solo la metà raggiungerà il traguardo.
Meta che comunque si annuncia irraggiungibile e, in ogni caso, appare disegnata in modo ridicolo: mentre ci sono amministrazioni pubbliche travolte da debiti e pignoramenti per debiti mai pagati, e per questo non sono giudicate né valutate, come se fosse normale per lo Stato contrarre debiti, ve ne sono altre che devono dimostrare di raschiare il barile spendendo in sei mesi tutto quello che si è accumulato in almeno tre esercizi precedenti e gestire in fretta il corrente anche se fino a metà dell’anno non si conoscono con certezza imputazioni ed entità delle risorse assegnate.
Gli strumenti suggeriti sono spicci e connotati da semplicismo efficientista: la squadra va diretta con durezza, senza perdere troppo tempo sui concetti e i comportamenti con cui è stata educata,con dispendio di fondi pubblici, tutta una generazione di manager, corrette relazioni sindacali, motivazioni sul lavoro, senso di appartenenza, visione della missione e degli obiettivi.
Tutto ciò, raccontato in corsi, consulenze, incontri e seminari di studio durati almeno un trentennio, viene triturato come paccottiglia e materiale da risulta e dunque si deve gestire lo strumento del no: non assentarsi, non ammalarsi, non chiedere, non partecipare, non fermarsi a riflettere, in una parola: eseguire.
Le RSU del posto di lavoro divenute, per i valutatori della performance, invisibili: per la legge non è più obbligatorio né necessario né opportuno confrontarsi con le Rappresentanze di posto di lavoro, che tuttavia sono lì negli uffici, sopravvissute a loro stesse e alla cultura che le ha istituite.
E poi: eseguire per realizzare cosa? Miglioramenti nell’offerta, così usa dire oggi, di giustizia, di istruzione, di ricerca, di impresa, di formazione, di cultura, tutto ciò pensato per una società che si continua a voler presentare come ricca nell’immaginario collettivo ma che ricca non è più e che si trova a marciare controcorrente in una pesante recessione economica di cui nessuno vuole parlare.
I manager pubblici saranno così performativi del nulla, inventeranno grafici e proiezioni sull’inesistente, basta fare un giro negli uffici di giustizia di taluni capoluoghi per vedere come le stanze non siano nemmeno dotate di computer e gli impiegati, i superstiti dai pensionamenti, non possano interrogare le banche dati e tutto continui a svolgersi su carta, penna e modulistica.
Intere e importanti fette di lavoro lasciate a personale “qualificato” che deve industriarsi come può e sa non partendo da una solida preparazione ma semplicemente dal faticoso fai da te formativo. Cooperative, associazioni, imprese a partecipazione statale che invadono consistenti settori dell’amministrazione pubblica e che si mimetizzano nelle pieghe dell’azione amministrativa, enti che pochi conoscono, che nessuno giudica, pur producendo lavoro pubblico, e le cui modalità organizzative e di selezione delle risorse e di reperimento delle stesse sono sconosciute ai più.
Precariato sottaciuto, mobbizzato, sfruttato. Non rappresentato.
Così in attesa del gong, i concorrenti, nel silenzio, il più totale silenzio delle più importanti organizzazioni sindacali, si dividono in pecore e rampanti, i primi che pur di non sbagliarsi e parlare si autolimitano il pensiero, i secondi che vanno per le spicce senza porsi problemi.
Purché i conti, soprattutto i loro, tornino.
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